LA BAIA DELLA MORTE IN DALMAZIA

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Cari Amici,
dal libro denuncia, frutto di una inchiesta di un italiano svolta nel 1947 su ciò che accadeva in quel preciso periodo in Jugoslavia, intitolato “Tito senza maschera”, e disponibile presso la nostra sede di Palazzo Tonello a Trieste, pubblichiamo una delle tante testimonianze rese dai sopravvissuti alle stragi ed ai massacri partigiani di civili.
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Il paesello di Zman, in Dalmazia, era stato prescelto dai titini quale luogo di supplizio. Ai margini del paese si erge una roccia alta 60 metri dalla quale essi precipitavano le vittime in mare. Altri infelici venivano trasportati in barca fino a una piccola baia nelle vicinanze del paese e qui venivano buttati in mare con un sasso al collo. Altri metodi di assassinio sulla costa erano piuttosto rari. Detti comunisti erano quasi esclusivamente marinai e perciò preferivano il tipo di esecuzione che era stata denominata “sasso al collo” e, rispettivamente, “morte sottomarina”. La popolazione del paese che con nausea ed orrore assisteva al massacro di tanti innocenti, si rivoltò talvolta contro gli assassini.
Spesse volte prima di far annegare le vittime, si convocava il “tribunale del popolo”, perché “giudicasse” i già condannati. Una masnada di comunisti belluinamente urlanti stava intanto in attesa come un branco di tigri assetate di sangue. Dopo poche parole pronunziate dall’accusa, i “compagni” e le “compagne” cominciavano ad urlare: “a morte il traditore!”, “a morte il fascista!”, “sasso al collo!”…. Il verdetto veniva emesso in pochi minuti e non più di mezz’ora dopo la “giustizia” era placata.
Nella vicina Ugliano è stata condannata a morte tutta la famiglia Ticina. I suoi componenti erano stati dichiarati “nemici del popolo”, perché una delle figlie aveva vissuto a Zara con un italiano, quindi con un “fascista”. La donna fu condannata a morte come “spia fascista” e per questo fu condannato anche il padre insieme ad altri tre membri della famiglia. L’infelice “spia” teneva tra le braccia una amore di bambina di tre anni, un angioletto. Alcune donne impietosite si precipitarono per salvare almeno la bimba. Ma le belve comuniste non furono dello stesso parere: “Bisogna sterminarli tutti – urlarono – affinché la mala pianta non dia più frutto!”.
Tuttavia di fronte all’atteggiamento del popolo dovettero cedere: ma quando giunse il momento di separare la bimba dalla sua mamma, la piccola si avvinghiò disperatamente al collo materno.
Allora un partigiano perdette la pazienza e afferrate madre e figlia, sotto gli occhi di alcune centinaia di persone, con altri “compagni” le annegarono vicino alla spiaggia.
Circa 2 mila persone furono così annegate, per la maggior parte a Zman. Tra loro c’erano parecchi zaratini e molti croati pure, trasportati sull’isola dalla terraferma, e poi altri 200 isolani, scomodi testimoni.
Tra le vittime ci fu anche il giovane sacerdote, don Giovanni Manzoni, parroco di Rava. Aveva 35 anni quando fu legato all’albero di un vecchio battello e colato a picco.
La baia di Zman divenne così la grande tomba degli annegati. I pescatori non vi pescano più e la gente quando passa vicino si fa il segno della croce.
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Il rettore Tomaso Montanari, il professor Alessandro Barbero e gli altri soloni, ste cose le raccontano quando parlano della loro amata Jugoslavia di Tito?
Foto: due bambini degli oltre cento uccisi dei partigiani comunisti nella strage da loro commessa nel villaggio di Kramer, nel Sirmio.
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